Dal libro di Graziano Pozzetto “La cucina romagnola”: il maiale veniva amorevolmente allevato nello stalletto e rappresentava un riferimento vitale per la sopravvivenza e l’alimentazione della famiglia contadina.
Il periodo canonico dell’uccisione del maiale inizia nel giorno di S. Andrea (30 novembre) e finisce per S. Antonio Abate (17 gennaio). Quando, per il caro porco, giungeva il fatidico giorno per tutti in famiglia erano momenti emozionanti e solenni.
L’animale, appena ucciso, e ancora caldo, veniva lavato con acqua bollente, raschiato ben rasato e ripulito. Poi veniva appeso per i piedi e dall’alto si iniziava ad aprirlo cominciando attorno alla coda e poi verso il basso fino alla testa. Con taglio diritto e sicuro si divideva a metà la schiena del maiale e se ne consentiva la fuoriuscita delle interiora. Si giungeva in basso fino al musetto e alla testa e via con abbondanti abluzioni.
C’era chi si sarebbe occupato delle budelle, chi lavava e sezionava il gruppo del cuore, fegato con la recuperata “rete” che sarebbero finiti in graticola per il pranzo della beccheria. Il maiale ben ripulito si collocava sul tavolaccio in un posto ben fresco, ricoperto da una larga e lunga tovaglia fino al giorno successivo destinato appunto alla beccheria. Per la famiglia contadina, la macellazione rappresentava un giorno di festa, momento di rara opulenza, un rito denso di significati.
L’arte della beccheria normalmente veniva trasmessa da padre in figlio ed occorreva mantenere fede all’obiettivo: del maiale si doveva utilizzare tutto, persino il pelo, appositamente raccolto, avrebbe contribuito a produrre setole e pennelli. Un lavoro attento , paziente e premuroso, consueto e conosciuto dagli anziani della famiglia, divertente e intrigante per i più giovani.
In dettaglio le suddivisioni e gli utilizzi specifici secondo tradizione e consuetudini.
Sangue: se ne ricava il migliaccio ma anche frittelle, sia fritte nello strutto sia cotte al forno.
Coscia posteriore: si ricava il prosciutto, scrupolosamente salata con sale marino grosso, lasciata riposare un paio di settimane a “prendere” il sale necessario, ripulita e pronta per la stagionatura.
Spalla: dall’arto anteriore ripulita, marinata nel sale poi appesa a stagionare. Utilissima per soffritti, sughi, ragù, zuppe,minestroni, frittate ecc…
Guanciale: utilizzato per la coppa di testa e per i ciccioli, oppure stagionato. Fresco per certi piatti ruspanti e succulenti dei primi mesi dell’anno.
Ossa: unite al musetto, orecchie, zampetti, coda, cotiche varie vengono bollite e una volta lessate si
elimina la parte ossea. La carne viene tagliata, mescolata, regolata di sale e pepe e insaccata in un capiente budello, ottenendo così la “coppa di testa” atta ad un consumo immediato o tutt’al più stagionale.
Il grasso: dal lardo, dalla sugna, dal grasso della pancia e della schiena cotti a lungo e scolati ancora
caldi si ottiene lo “strutto”. Il prodotto grasso rimasto, una volta effettuata la scolatura, serviva per la preparazione dei “ciccioli”. Questi a fine cottura, conditi con sale e pepe, vengono inseriti in un robusto sacco di tela e stretti nelle tradizionali due ganasce di legno.
Addome: se ne ricava la classica pancetta, fresca oppure arrotolata e insaporita, non solo con sale e pepe ma con odori e spezie. Arrotolata con la sua cotica, legata e infine sottoposta alla stagionatura.
Carni magre: opportunamente selezionate, macinate e mescolate, condite, ben amalgamate e insaporite, vengono insaccate negli appositi budelli per ricavarne ottimi salumi.
Cotiche: con altre parti semigrasse, condite contribuiscono a formare i cotechini. Vengono anche proposte (scottate in acqua bollente) con pasta e fagioli e con i fagioli stessi.
Altre carni: magre ma meno nobili di quelle destinate al salame che contribuiscono all’impasto della salsiccia consumata per lo più fresca sulla graticola o in padella.
Carni rosse: così chiamate perché rossastre, ancora macchiate di sangue. Si tratta del polmone, della milza, della lingua, dei reni e di altre piccole parti. La salsiccia ottenuta da queste carni si dice “matta” perché ricavata da carni di minor pregio. Va consumata cotta, fresca sulla graticola.
Muscoli: dai muscoli del collo e del dorso si ottiene la “coppa magra”. Si può usare fresca e stagionata (coppa estiva). Ben ritagliata, salata e insaporita soprattutto con chiodi di garofano, inserita in adeguato budello e legata con spago. Lasciata stagionare fino a primavera viene destinata al consumo nei mesi estivi.
Fegato: fresco, tagliato a fette ricoperto della sua rete e cucinato sulla graticola; salato e pepato alla
fine, con foglie di alloro, rappresenta una delle cose più gradite dai romagnoli.
Il cervello: saltato in padella con poco strutto, servito caldo regala la sua morbida grassezza.
Le ossa bollite: scolate e servite ancora fumanti con una spolverata di sale grosso marino, da piluccare con patate lesse. Un tempo si preparava una minestra a base di ossa di maiale; oppure con
le stesse si ricavava un umido prezioso per affrontare inverni senza riscaldamento.
Lo stomaco o trippino: preparato in vari modi: bollito, oppure predisposto in umido infine in trippa.
La pancetta fresca: preferibilmente magra, a pezzettini saltata in padella da inserire nell’impasto
del piadone salato. Oppure per i tradizionali “bruciatini” con i radicchi di campo.
Le braciole di lonza: con o senza osso protagoniste della grande “braciolata” cara ai romagnoli.
Il cuore: cotto sulla graticola oppure proposto in umido.
Il rognone: fresco, tagliato a fette, marinato, condito e cotto sulla graticola. Buono anche in padella.
La salsiccia: utilizzata fresca per il tradizionale “frizai” e fricandò. Si tratta di umidi a base di verdure proposte secondo precisi e progressivi tempi di cottura, in particolare nel fricandò.
Lo stinco: cottura in forno con base di cipolla, sedano, carota e prezzemolo. Durante la lunga cottura innaffiato di brodo o vino bianco secco, con aggiunta di sale e spezie(pepe e noce moscata) ed erbe aromatiche (aglio, rosmarino, salvia e timo).
Il lardo: analogamente alla pancetta, al grasso del prosciutto (e relativo gambuccio) rappresenta da sempre una buona base per soffritti, sughi per pastasciutte, minestroni e zuppe invernali.
I rimasugli della “beccheria”: si tratta di piccoli residui, magri e non, che, se macinati o battuti al coltello rappresentano un’eccellente materia prima per un succulento ragù, destinato a tagliatelle fresche all’uovo o pappardelle, strozzapreti, gnocchi di patate e polenta.
A panza pina u s’ ragiona mej.
Magné ben, mo sénza vén, l’è magné coma i baghén
(a pancia piena si ragiona meglio)
(mangiare bene, ma senza vino, è mangiare da
maiali).