Stamattina ho fatto la strada da Ravenna a San Biagio, campi zuppi d’acqua di quella buona che va alle radici non di quella che si è mangiata anche le case giù di qua, argini alti e pioppi, cielo grigio e aria fredda. Ho sorriso a ogni insegna di osteria che prometteva casa e focolare, ma ad alcune sembrava che mancasse solo quell”h” davanti che ti avrebbe fatto incazzare di brutto. Poi a ogni insegna che indicava “piadina”, senza il superfluo aggettivo “romagnola” che per usarlo oggi si deve pagare, ho sorriso ancora pensando che anche lì avresti avuto più di un rosario da inanellare.
In chiesa, un gruppetto di uomini del paese in fondo alla navata non ha smesso di parlare un attimo durante il tuo funerale, sottovoce, ma non troppo, discutevano forse di chi eri figlio e di quando te ne sei andato da lì, che han letto di te sul giornale, dell’ultima caccia o dell’ultima bevuta, credo io.
Ho pensato che se la tua anima fosse stata lì in giro non era stesa a farsi incensare dal prete, ma fra di loro. Sappi però che il parroco ha fatto un bel discorso, ha detto che sei ancora qua in tutto quello che hai fatto in modo che di te restasse attaccato a chi ti ha incontrato, i tuoi famigliari, ma non solo, e tu sei stato generoso nelle amicizie e caparbio nel voler lasciare un segno. Lui, il parroco, si ricorda che da giovane cappellano trent’anni fa fu mandato nel borgo di San Pierino, lì vicino, e tu sei stato il primo che lo è andato a invitare a casa propria.
Ho conosciuto tuo figlio e ho visto i tuoi nipoti, tutti omoni grandi come te, e uno di loro ricordava con gusto un tuo detto frequente che tutti sappiamo, ma che qui non si può scrivere… dai.
Prima di tornare a casa ho cercato la macelleria del paese, ho comprato della salsiccia matta (lo so dirai che non è proprio quella vera, che è farlocca, ma sai bene che diavolo di fatica si fa a trovare una salsiccia matta fatta per bene, vedremo quando sarà cotta stasera sul fuoco), poi due fette di pancetta con un grasso che urlava mettimi in graticola, e mezza costata di maiale. Ah anche una salama da sugo, anzi due, che farò domenica.
Il macellaio era abbastanza giovane e simpatico e voleva farmi la tessera fedeltà, gli ho detto che non ero di lì e che ero passata solo per il tuo funerale.
Ha fatto un’aria interrogativa e gli ho spiegato che Graziano Pozzetto è quello che ha scritto un volume di qualche centinaio di pagine solo sulla salama da sugo e centinaia e centinaia di altre pagine sul suo “caro vecchio porco” di cui non si butta via niente, e a cui si fa la festa proprio d’inverno. C’è rimasto male a non saperlo, allora ho fatto la tessera fedeltà della macelleria e se quella salsiccia matta che ho comprato sarà all’altezza, ci ripasso e gli porto il tuo libro sulla salama, che non sta né in cielo né in terra che il macellaio di San Biagio d’Argenta non lo abbia letto.
Ancora una volta, at salut.
Laura Giorgi, giornalista.